La fiaba, il mondo che essa evoca e il modo in cui questo avviene sono elementi centrali delle prime fasi del percorso educativo. Elementi che riguardano, in particolare, il bambino fra i tre e i sei anni circa. Nel ritmo della mattinata al gruppo giochi il momento del racconto della fiaba è infatti centrale.
Le fiabe che vengono utilizzate nella pedagogia Waldorf sono principalmente quelle della tradizione popolare, in particolare (per molte ragioni anche di tipo tradizionale) quelle raccolte nei famosi lavori dei Fratelli Grimm.
Ma perché usare questo tipo di storie? A un primo sguardo sembrano spesso completamente inadatte per i bambini, e in particolare per i bambini di oggi. Sono storie, quelle raccolte dai Fratelli Grimm, che sono completamente devianti dai canoni con cui oggi vengono intrattenuti i bambini come, ad esempio, nella cinematografia dedicata ai bambini, nei programmi televisivi e nei libri “per bambini”, tutti accomunati da una serie di elementi che attirano fortemente l’attenzione del fruitore, ancorché molto “piccolo” (appunto per “in-trattenerlo”): immagini colorate, colpi di scena, forte enfasi nelle manifestazioni emotive e nelle scelte discrezionali dei protagonisti.
Nelle fiabe della tradizione popolare nella trazione dei fratelli Grimm, mancano proprio queste caratteristiche volte a forzare l’attenzione del bambino. Inoltre, non ci sono immagini da vedere, è il bambino che dovrà creare la sua immagine della storia attraverso la propria fantasia. I personaggi , poi, si muovono nella dinamica della storia quasi fossero privi di un reale coinvolgimento emotivo. Spesso sembra infatti che i personaggi non abbiano alcuna scelta nel decidere cosa fare e che tutto accada in modo assolutamente necessario. Al contempo, le storie sono spesso ripetitive, ritmate e quasi schematiche: vi è una situazione iniziale, un elemento di rottura e, dopo qualche tentativo fallito (di solito due), il protagonista (spesso con un aiuto esterno) riesce nel tentativo.
Ma, per la pedagogia Waldorf, il sano sviluppo del bambino passa proprio attraverso questo tipo di narrazione: che non a caso è quella della tradizione popolare.
Il tema sarebbe ampio e articolato, e qui si possono dare solo brevissimi cenni a giustificazione di questa presa di posizione.
Intanto, la fiaba viene raccontata e non letta. Nella lettura, infatti, si perde quello speciale rapporto che il racconto orale lascia invece inalterato: è un incontro fra adulto e bambino che passa attraverso il contatto diretto non mediato dal libro. Leggendo si è costretti a concentrarsi sulla pagina che si sta guardando e non sui propri ascoltatori e su come le proprie parole stiano influendo sul bambino. (Se questo vale per la lettura, per l’esposizione a fonti automatiche di riproduzione ovviamente lo scenario peggiora notevolmente e per molte ulteriori ragioni.)
La mancanza di enfasi su emozioni e scelte discrezionali dei personaggi deve poi essere accompagnata da un modo di raccontare privo di accentuazioni di caratteri, come quelli emozionali, per i quali i bambini non sono ancora strutturalmente pronti: molto semplicemente, nei primi anni di vita non è ancora sviluppata una maturità emotiva che consenta al bambino di “gestire” correttamente le emozioni indotte dal racconto.
Questo sembra andare in senso opposto al fatto che, spesso, le fiabe hanno momenti anche molto violenti e truci: ma sono solo i nostri occhi di adulti a vederli come tali. Il bambino coglie invece l’elemento universale, l’archetipo che sta all’interno della narrazione della fiaba, ed è quello (non enfatizzato sotto il profilo emotivo) che lo aiuta a orientarsi all’interno della polarità bene/male.
Facciamo un esempio: se viene raccontato a un bambino, con toni neutri, che sta arrivando un pericoloso lupo, il bambino formerà l’immagine mentale del lupo in modo che sia per lui gestibile, un’immagine con cui possa confrontarsi in modo equilibrato e, come avviene in quasi tutte le fiabe, il protagonista potrà così superare l’ostacolo: ha lui stesso selezionato inconsapevolmente il grado di “difficoltà” da superare secondo le proprie effettive capacità del momento. Se invece viene proposta a un bambino piccolo l’immagine di un lupo, quanto deve essere brutta e paurosa per assolvere al compito evolutivo della fiaba? E chi lo sceglie? Sicuramente l’illustratore: e non c’è alcuna garanzia che l’immagine alla fine risulti o troppo o troppo poco sfidante per il bambino (anzi, vi è la certezza che avvenga il contrario).
Come ogni altro aspetto della pedagogia Waldorf, la fiaba non è un momento di intrattenimento, ma uno strumento per accompagnare la crescita del bambino, aiutandolo proprio attraverso il lavoro su ritmo, archetipi e superamento dell’ostacolo tipici della struttura narrativa della fiaba.
Perdere l’occasione di avere un corretto rapporto con il racconto della fiaba è quindi perdere le possibilità che dà questo strumento.

Letture consigliate:
- Introduzione al linguaggio immaginativo delle fiabe. Un orientamento nello spazio fiabesco, di Gisela Fuggee.
- Fiabe, una fonte di giovinezza, di Micaela Gloker.